mercoledì 15 marzo 2017

I LUNEDI' DELL'ESPLORATORE


N. 4

Quarto appuntamento
 dedicato ad un altro esploratore italiano:

GIACOMO BOVE



Nato a Maranzana (AT) il 23 aprile 1852, dopo gli studi primari, frequentò l'Accademia Navale di Genova, diplomato con onore, poté partecipare come Guardiamarina alla spedizione scientifica in Estremo Oriente della nave Governolo. Dopo aver prestato servizio prima a La Spezia e poi a Napoli, il 24 settembre del 1876 saliva al grado di Sottotenente di Vascello.
Nel 1877, inviato a Messina, perfezionò le sue ricerche e i suoi studi sulle correnti marine, inventando persino una "scala di marea", ossia uno scandaglio per le misurazioni idrografiche.
E' forse proprio grazie alla sua specializzazione in questo campo che prese parte come idrografo, alla spedizione dello scienziato scandinavo A.E. Nordenskiold, a bordo della Vega, alla ricerca del "Passaggio a Nord-Est" attraverso il Mar Glaciale Artico, dall'Atlantico al Pacifico (1878-1879).

Rientrato vittorioso a Maranzana, si dedicò ad un nuovo progetto tutto italiano: l'esplorazione nelle Regioni Antartiche.
Purtroppo il costo troppo elevato del progetto fu causa del suo accantonamento.
L'idea di un'esplorazione antartica, però fu ben vista oltre confine, l'Argentina, infatti, capiti i possibili vantaggi ottenibili, finanziò la spedizione modificandone però l'impresa. Una volta tornato dal viaggio, il Bove venne insignito, dal re di Danimarca, Cristiano IX, dell'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine di Danebrog, e la sua città natale, che  già lo aveva omaggiato con una Medaglia d'Oro, il 20 giugno 1880 festeggiò la  sua promozione a Tenente di Vascello donandogli una Pergamena.

Il 3 settembre 1881, Bove salpò da Genova per Rio de Janeiro al comando della spedizione, con lo scopo di studiare il Sud della Patagonia, la Terra del Fuoco e l'isola degli Stati, sopratutto dal punto di vista economico, senza tralasciare la componente scientifica, a bordo infatti si trovavano un geologo, un idrografo, un zoologo ed un botanico. Furono fatte ricerche sulla fauna, sulle profondità marine, sui fossili etc. 
Nei pressi dell'isola di Picton però, una delle navi naufragò in seguito ad una burrasca, l'equipaggio si salvò, ma costrinse il Bove a rientrare a Buenos Aires, dove nell'ottobre 1882, per celebrare comunque l'impresa, gli fu consegnata, dal Presidente della Repubblica Argentina, un'ulteriore Medaglia d'Oro.
Tornato in Italia si mise subito al lavoro per riorganizzare un altro viaggio a completamento di quello non portato a termine. Con il contributo della Società Geografica Italiana e il Lloyd Argentino, Giacomo Bove, il 3 luglio 1883,  partì nuovamente per la sua seconda spedizione in Sud america, tornando l'anno successivo con 25 casse di raccolte antropologiche, zoologiche, botaniche, etnografiche...
Per un certo periodo, in quest'ultimo viaggio partecipò anche lo scrittore Edmondo De Amicis. Il clamore che seguì al suo rientro, entusiasmò il Bove, che pensava di poter finalmente esaudire il suo sogno: l'esplorazione dell'Antartide.
Purtroppo però non fu così, l'attenzione esplorativa si era spostata sul continente Nero, ed il Bove dovette nuovamente accantonare il suo progetto.
Un'altra avventura lo aspettava. Con una collaborazione anglo-italiana, la nuova spedizione lo portò in Congo, risalendo il fiume omonimo dalla foce verso l'interno, cercando di conoscerne il territorio, il commercio, si spinse fino all'Equatore e ancora più a nord, fino alle cascate di Stanley, dove l'esploratore inglese viveva con la popolazione dei Bangala. 


Tornò in Italia nel 1886, molto provato dall'esperienza africana, le continui e altissime febbri lo assalivano spesso, e il suo fisico andava sempre più peggiorando. Il 9 agosto 1887, sfinito anche nello spirito, di rientro da un viaggio in Austria, decise di porre fine alla sua intensa vita terrena.
La salma riposa nella Cappella di Famiglia nel cimitero di Maranzana.









In breve la sua vita di mare e di esplorazione...
ma grazie allo scrittore e appassionato naturalista
Pietro Pisano
conosceremo un altro aspetto
di questo grande uomo dimenticato dalla Storia.

L'autore ricostruisce con estrema attenzione la vita,
la coraggiosa e tragica scelta di morte,
il lascito culturale, e fa chiarezza
sulle vicende di fondazione del sentiero verbanese-ossolano
che al Bove è dedicato:
la più antica (spettacolare ed affascinante)
via ferrata d'Italia.









venerdì 10 marzo 2017

INTERVALLO GASTRONOMICO


IL RISO ANCORA PROTAGONISTA...




 Le origini del riso non sono certe, si ritiene che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell’Himalaya. Pare che durante l’Impero Persiano il riso si propagò verso l’Asia occidentale e poi si estese in altre direzioni. Quel che pare certo è che dalle specie primordiali di questa graminacea se ne siano differenziate una ventina. Solo due di queste hanno tutt’oggi una certa rilevanza a scopo alimentare: Oryza sativa, di origine asiatica, e Oryza glaberrima, di origine africana. Le più antiche ciotole in argilla contenenti riso, Oryza sativa, rinvenute in Indocina, risalgono a oltre 5000 anni a.C. e il termine tamil Arisi, da cui pare derivi il nome latino, compare poco più tardi in India, ma i preziosi chicchi giungono in Occidente solo in epoca cristiana, nella Roma imperiale. A coltivare per primi il riso, secondo gli storici, furono gli Arabi in Sicilia, e poi gli Aragonesi: sta di fatto che a metà del XIV secolo il riso si diffonde in Italia grazie ai dominatori spagnoli.

La prima notizia certa sulla coltura del riso riconduce a quella che ancora oggi è la patria risicola d’Italia, la Lomellina. È, infatti, nel feudo di Robbio Lomellina che Ludovico il Moro, Duca di Milano, avvia una coltivazione con la semente ricevuta dal cugino Gonzaga. Di lì a pochi anni il Ducato di Milano si specchierà in migliaia di ettari d’acqua in cui germoglieranno piantine di riso. Anche Gian Galeazzo Sforza, secondo gli storici, contribuì alla diffusione della pianticella, mandando qualche sacco ai Duchi di Ferrara che disponevano di acquitrini. Oggi siamo i maggiori produttori d’Europa. 

Il riso è diventato anche motivo di culto. Dalla Thailandia a Giava, dalla Corea al Giappone, senza dimenticare la Cina, l’oriente è ricco di miti, storie e racconti, ricchi di fascino che rivelano il rispetto e la gratitudine verso questa pianta. Vi sono credenze che ritengono il riso una pianta che possiede un’anima, per cui si organizzano feste e riti propiziatori per rendere benevolo il destino e ottenere raccolti abbondanti.

Il riso ha inciso anche sulle abitudini di vita di molte generazioni, dando vita a figure popolari, come quelle delle mondine, che nel corso dei mesi di coltivazione, dalla primavera ai mesi invernali, si recavano nelle zone di raccolta affrontando grandi difficoltà e sacrifici. Ovviamente ci riferiamo al periodo in cui il riso era coltivato manualmente ed il lavoro delle mondine consisteva nello strappare erbacce.

Una leggenda cinese racconta che in un tempo molto lontano una grave carestia colpì il paese e che il genio Buono, vedendo le sofferenze dei contadini, sacrificò tutti i suoi denti, disperdendoli in una palude. L’acqua trasformò i denti in semi da cui germogliarono poi migliaia di piantine di riso. Da allora, dove c’è riso c’è abbondanza e il lancio dello stesso sugli sposi simboleggia amore e fertilità. Anche in Italia, per augurare agli sposi fertilità e prosperità, subito dopo la cerimonia si lancia il riso. Probabilmente questa tradizione deriva da un vecchio rito greco secondo il quale, per propiziare la fertilità si facevano piovere sulla coppia dolci di riso. Questa usanza è diffusa anche in Indonesia, dove subito dopo il matrimonio si lancia il riso con l’intento però di trattenere l’anima dello sposo che altrimenti, fuggirebbe via.


CONTINUA...




Buon appetito!


giovedì 2 marzo 2017

I LUNEDI' DELL'ESPLORATORE



Terzo appuntamento
.....
molto speciale 


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FELICE DE VECCHI E IL DIARIO DI CAROVANA


Talvolta storie affascinanti, tesori e scoperte, si nascondono dentro i luoghi della quotidianità. Talvolta, anche spazi che crediamo scontati, regalano il gusto della scoperta. Basta saper guardare. Quella di Felice De Vecchi è una di queste rivelazioni riesumate proprio dove meno ci si aspetterebbe: a Rho, nella periferia di Milano. La storia della scoperta di questo personaggio ha i caratteri di un romanzo, un racconto che istituisce un legame tra passato e presente, ricordo e povertà di memoria, che mette in dialogo presente e passato.
Felice De Vecchi morì il 29 aprile del 1862. Da allora, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, della sua vita si sono progressivamente dimenticate le tracce. Il suo ricordo si è frammentato, disperso, in parte irrimediabilmente cancellato, mentre ai suoi effetti personali è toccata la sorte di passare di mano in mano, disperdendo la memoria dell'uomo a cui erano legati. Una parte di questi è rimasta per anni accumulata disordinatamente tra le stanze di casa Vidiserti, a Rho, ed è proprio da qui che ha avuto inizio la storia del rinvenimento della figura di Felice De Vecchi e il lavoro di ricostruzione della sua vicenda.

Lettere, scritti, dipinti, disegni, attestati, documenti, effetti personali, oggetti (recentemente sottoposti a studi, trascrizioni e catalogazione), sono sopravvissuti fino ad oggi facendosi portatori di memoria: essi hanno permesso di ridare colore al fantasma sbiadito di un uomo, un personaggio la cui esistenza trascende i confini dell'individualità per farsi testimonianza, patrimonio condiviso: invitato a parlarci della propria vicenda personale, egli può offrire un punto di vista ancora inedito dal quale osservare il quadro della nostra stessa storia collettiva.
Tra amuleti egizi, disegni sfumati, paesaggi melanconici, vi è un manoscritto, il Giornale di Carovana: racconto del viaggio che Felice intraprese nel Vicino Oriente insieme all'esploratore Gaetano Osculati: dalla Turchia alla Persia, dall'India all'Egitto. Un'esperienza che ha visto i suoi protagonisti, a bordo di piroscafi a vapore o al seguito di grandi carovane, incontrare e condividere momenti con altri uomini, incrociare la propria alle altrui storie, mescolarsi, domandare, confrontarsi con genti differenti e perdersi lungo le vie di città lontane. Un viaggio, un racconto, colmo di sentimenti, presentato oggi, per la prima volta, anche nei suoi capitoli tuttora inediti.
                                                                                                                                (Alice Bitto)
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L'avventura di Felice De Vecchi e Gaetano Osculati ha inizio una mattina, sull'alba, della primavera 1841, quando una carrozza diretta in Austria porta i due viaggiatori a lasciarsi alle spalle i confini patri.
Linz è la loro prima tappa: da qui la lunga risalita del Danubio a bordo di piroscafi a vapore, li deve condurre a varcare i confini d'Europa. I paesaggi lungo le rive mutano rapidamente fisionomia, tra la folla chiassosa e cosmopolita si intravedono già volti dalle strane fattezze e dalle particolari fogge. Il viaggio si presenta a Felice, che al momento della partenza ha 25 anni, come un'esperienza formativa, utile ad acquisire nuove cognizioni. Sensibile, ironico, curioso, vigile osservatore, è pronto a riportare sul suo diario tutto ciò che avrebbe stimolato la sua attenzione: dai monumenti alle testimonianze archeologiche, dai costumi alle abitudini culinarie delle genti incontrate. Carico di attese e aspettative, la navigazione danubiana e la traversata del Mar Nero rappresentano per lui un'anticamera alla realizzazione del suo sogno, e l'attesa si colma di entusiasmo man mano che trascorrono i giorni: «Si direbbe che la sosta notturna e il sonno che ti ha chiuso gli occhi, t'ha portato sull'ali di sognate fantasie in una regione incantevole, in cui tutto è nuovo: usi, architettura, abitanti, fin l'aria che respiri»



Viaggia ed esplora con noi
Ti aspettiamo


martedì 28 febbraio 2017

MEMORANDUM


Un riassunto delle prossime iniziative




Gli appuntamenti della rassegna

I LUNEDI' DELL'ESPLORATORE

si tengono c/o
Karma Caffè (villa Monguzzi)
via Cesana e Villa 34
Biassono

giovedì 23 febbraio 2017

I LUNEDI' DELL'ESPLORATORE


Seconda serata:

L'ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA

                                                                            (Pompei)


ARCHEOLOGIA

[sec. XVIII; archeo-+-logia]. Studio dell'antichità e, in senso più specifico, scienza che ha per fine la ricostruzione delle antiche civiltà per mezzo degli scavi e dello studio di monumenti, oggetti, iscrizioni.

Origine ed evoluzione

Inteso da Platone nel significato di storia delle origini di un popolo o di una città, ritornato in voga nel sec. XVII a indicare lo studio di tutti i documenti antichi, limitato dal sec. XIX ai monumenti non letterari, il termine archeologia indica la scienza che studia le testimonianze storiche di culture e civiltà – nonché di insediamenti o giacimenti, terrestri e subacquei – conosciute o conoscibili prevalentemente attraverso la scoperta di resti materiali. 


Il primo archeologo, inteso come ricercatore di monumenti antichi, può considerarsi Ciriaco de' Pizzicolli (viaggi in Grecia tra il 1412 e il 1448), mentre J. J. Winckelmann diede per primo un'interpretazione artistica, oltre che storica, dei monumenti dell'archeologia classica (Geschichte der Kunst des Altertums, 1764; Storia dell'arte dell'antichità). Nel sec. XIX si accentuò l'interesse degli studiosi verso le opere di arte figurativa, con particolare riguardo ai capolavori dei grandi maestri (A. Furtwängler). Nel sec. XX le due discipline, dell'archeologia e della storia dell'arte antica, si completano a vicenda, elaborando un'interpretazione storica dei vari periodi delle culture esaminate. Per condurre le sue indagini l'archeologia contemporanea si avvale di numerose altre discipline, come la filologia (per la conoscenza delle fonti), la topografia, l'epigrafia, la numismatica e, dagli ultimi decenni del sec. XX, anche della tecnologia moderna in relazione agli scavi.

Esplorazioni

Le prime esplorazioni archeologiche iniziarono a Roma (nel Foro Romano, alle Terme di Caracalla, nella Villa Adriana) per rispondere alle esigenze intellettuali dell'Umanesimo. Dopo un periodo di relativa stasi i Borbone di Napoli iniziarono scavi sistematici a Ercolano (1709-11; 1738-65), a Pompei (ininterrotti dal 1748), a Stabia (1759-82) con la conseguente scoperta della pittura pompeiana. I Farnese intrapresero scavi sul Palatino (1720-29) e i Borbone di Parma a Velleia (dal 1760). Altri scavi a Roma, in alcune località del Lazio (Villa Adriana, Ostia) e dell'Italia settentrionale ebbero particolare impulso alla fine del secolo e soprattutto nel periodo napoleonico. Nel sec. XIX proseguirono gli scavi di città e monumenti romani e si rese possibile la conoscenza diretta della civiltà etrusca con gli scavi nelle necropoli di Vulci, Tarquinia, Cerveteri, Palestrina. Alla fine del secolo, dopo la costituzione di un'apposita Direzione Generale del Ministero della Pubblica Istruzione, si intensificarono gli scavi in tutta Italia e si ebbe un primo contatto con l'arte della Magna Grecia. Vennero sistemati alcuni tra i maggiori musei archeologici del mondo, come il Museo Borbonico, oggi Nazionale, a Napoli, il British Museum a Londra, i Musei Nazionali di Atene e Roma (il Louvre era stato aperto nel 1793). Grandi scoperte si ebbero in Grecia e in Oriente, anche per il trasferimento a Londra (1800-07), da parte di Thomas Bruce conte di Elgin, dei marmi del Partenone.


Nel 1833 i Greci iniziarono l'esplorazione archeologica dell'Acropoli di Atene. Negli ultimi decenni del secolo iniziarono le grandi imprese archeologiche ufficiali, il cui scopo non fu più l'acquisizione di opere d'arte ma lo studio dell'antica civiltà greca; importanti sono state soprattutto quelle dei Tedeschi a Olimpia (dal 1878) e dei Francesi a Delo (dal 1879) e a Delfi (dal 1880), mentre i Greci scavavano Epidauro (1881) e scoprivano sotto la “colmata persiana” dell'Acropoli un grandioso complesso di opere del periodo arcaico (1885-91). In Asia Minore gli Inglesi e poi gli Austriaci scavarono a Efeso (dal 1869), i Tedeschi a Magnesia al Meandro (dal 1891), a Priene (dal 1895), a Mileto (dal 1899) e a Pergamo (dal 1878), portando la grande ara negli Staatliche Museen di Berlino (sezione del Pergamonmuseum). In Crimea i Russi scavarono le città greco-scitiche, arricchendo il Museo dell'Ermitage di oreficerie preziosissime. Negli stessi decenni gli scavi di un geniale dilettante, H. Schliemann, a Troia (dal 1871), a Micene (dal 1874) e a Tirinto (dal 1884) portarono alla luce le testimonianze di quel periodo preellenico che dopo le scoperte di sir A. Evans a Cnosso (1900) è stato definito come civiltà cretese-micenea.

Nell'Asia anteriore, dopo gli scavi assiri di P.-E. Botta a Khorsabad (1843-46) e di A. H. Layard a Nimrūd (1849-51), le scoperte di Tello (dal 1866), di Nippur (dal 1888), di Babilonia (dal 1898) posero in luce l'antico mondo sumerico e accadico. Alla fine del secolo gli scavi di Baalbek e Palmira documentarono la civiltà romana d'Oriente. In Egitto le scoperte archeologiche cominciarono con la spedizione di Napoleone (1798-1801) e la scoperta della stele trilingue di Rosetta (1799) e continuarono con la missione franco-italiana di Champollion e Rosellini (1828-30) e quella tedesca di Lepsius (1842-45). Nel sec. XX la continuazione delle imprese precedenti e l'apertura di nuovi campi di scavo in tutti i Paesi d'Europa, in Asia e in Africa hanno avuto soprattutto lo scopo di ottenere una visione generale e organica, dal punto di vista storico, dei dati offerti dalle singole scoperte, con l'ausilio di nuovi metodi di ricerca; si svilupparono in tutto il mondo gli scavi preistorici e, in America, lo studio dell'archeologia precolombiana.
Nel mondo greco hanno continuato a operare congiuntamente Greci e stranieri.
In Oriente gli scavi si estesero alla Palestina, alla Mesopotamia (TellHalaf, Uruk e Ur, dove studiosi angloamericani posero in luce l'arte sumerica primitiva), in Persia (Susa, Persepoli), nella valle dell'Indo (civiltà di Mohenjo-Daro e di Harappa), in Libano (Biblo) e in Siria (Ras Shamra, l'antica Ugarit), nell'Asia Minore (Bögazköy, Kültepe e altri centri ittiti).

Gli scavi francesi a Bēgram nell'Afghanistan e quelli sovietici nei tumuli (kurgan) dell'Altaj ampliarono le conoscenze delle civiltà iraniche; quelli americani di Dura Europos e le scoperte di Antiochia, Apamea, Damasco illustrarono la civiltà romana in quelle regioni orientali. In Egitto continuò l'esplorazione delle necropoli (Saqqāra, el-Giza) e si ebbe la fortunata scoperta della tomba di Tutankhamon (1922). Tra le più straordinarie scoperte del secolo, quella della città di Ebla (Siria, III millennio a. C.), riportata alla luce da una missione archeologica dell'Università di Roma, e i moltissimi reperti archeologici della Cina (famosissimo l'“esercito di terracotta” di Sian).

Quanto all'Italia, le esplorazioni archeologiche investirono tutto il territorio nazionale. A Roma continuavano gli scavi al Foro Romano e al Palatino (Boni, Bartoli), si liberavano i Fori Imperiali e l'Augusteo, si recuperava l'Ara Pacis, si dava un particolare impulso agli scavi di Ostia (Calza). In Campania continuavano gli scavi di Pompei (Maiuri) e si riprendevano quelli sistematici di Ercolano (1927). In Etruria particolare importanza ebbero gli scavi di Veio e Tarquinia, nell'Italia settentrionale quelli di Aquileia e della necropoli di Spina. Negli ultimi decenni del sec. XX si sono intensificate in tutta Italia le ricerche archeologiche: particolarmente eclatanti i risultati della ripresa degli scavi nel centro stesso di Roma, e in Etruria (da Cerveteri a Tarquinia, a Bolsena, a Orvieto, a Volterra, ecc.), in Magna Grecia (Napoli, Velia, Sibari, Crotone, Policoro, Metaponto, i centri del Salento, ecc.), nella Sicilia greca (Selinunte, Megara, Camarina, Siracusa, ecc.) e pregreca (Mozia, i centri fortificati dell'interno), in Sardegna (Tharros, Nora, Monte Sirai, ecc.), ma anche in numerosissimi altri centri dell'Italia centrale e settentrionale.

La ricerca archeologica: lo scavo

Per la ricerca di nuovi dati sul campo, l'archeologia si avvale soprattutto di scavi stratigrafici, secondo tecniche mutuate dalla geologia, ed elaborate sin dagli anni Trenta del sec. XX in scavi dell'Europa settentrionale e poi, con R. E. M. Wheeler e F. C. Kenyon, in Oriente. Adottati ormai universalmente, per la maggior quantità e qualità di informazioni che forniscono, essi si basano sull'individuazione delle diverse unità stratigrafiche, ciascuna dovuta a un'unitaria azione naturale o umana, e delle relazioni fisiche tra esse intercorrenti. Fasi essenziali di uno scavo stratigrafico sono: l'impostazione; la documentazione il più possibile completa, con schede, piante, grafici, riprese fotografiche, ecc.; l'elaborazione dei dati, sovente con l'ausilio di altre scienze, e la loro pubblicazione.



L'ESPLORAZIONE ARCHEOLOGICA
con 
Carla Pirovano

LUNEDI' 27 FEBBRAIO
h. 21.00

c/o Karma Caffe
(villa Monguzzi)
via Cesana e Villa 34 Biassono


venerdì 17 febbraio 2017

I LUNEDI' DELL'ESPLORATORE



Alla scoperta del...

FUMETTO

Per i più, è concepito come un testo illustrato che racconta una storia, tuttavia se si cerca il suo significato sul dizionario, viene definito come un tipo di linguaggio formato da più codici, un testo e/o didascalie, e immagini, che insieme generano una sequenza temporale dando vita ad una narrazione.

E...quando nasce?

Difficile a dirsi... La storia di questo linguaggio, fenomeno diffusosi nel corso del Novecento, ma con radici nel secolo precedente, può essere fatta risalire a diverse epoche, quando si è verificata la necessità di associare testi a immagini o rappresentazioni. Per alcuni studiosi risalgono addirittura alla preistoria, quando i cavernicoli illustravano le loro attività sui muri delle grotte. E ancora, restando nell'antichità, anche la Colonna di Traiano può essere considerata un grande fumetto scolpito. La colonna inaugurata nel 113 d.C., è percorsa a spirale da un rilievo che racconta le gesta dell'imperatore Traiano e del suo esercito. Nel fregio in marmo sono scolpite circa 2500 figure.


IL FUMETTO MODERNO

Ma l’idea del fumetto vero e proprio è nata nel 1827, con Rodolphe Töpfer, che disegnò le avventure dei suoi personaggi con una didascalia. In Francia le prime storie illustrate furono create nel XIX secolo, da Caran d’Ache. Quasi contemporaneamente in Giappone, Katsushika Hokusai ha creato una serie di disegni grotteschi che ha chiamato Manga. Ancor oggi questo termine, divenuto di fama universale, definisce il fumetto giapponese.





Ma la vera nascita del fumetto occidentale è negli stati Uniti, dove i grandi quotidiani pubblicano le strisce a fumetti, le famose “strips” (una parte di pagina con alcune immagini). Il New York World pubblica nel 1895 le avventure di un simpatico personaggio che si chiama “Yellow Kid” di Richard Felton Outcault.

The Yellow-Kid di R.F. Outcault

È il primo vero esempio di fumetto, come lo conosciamo noi con l’apparizione dei cosiddetti balloons. Ne farà un uso sistematico Rudolph Dirks con The Katzenjammer Kids (1897).


In Italia il primo fumetto è databile al 1908, anno in cui viene pubblicato il famoso Corriere dei Piccoli che stampa le avventure di Bilbolbul di Attilio Mussino.
Altro esempio di rivista per ragazzi, Il Giornalino, nasce nel 1924 e viene tuttora stampato. Ben presto in tutto il mondo (Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna…) si sviluppano le riviste specializzate illustrate con i fumetti, che possono ampliare la vendita dei giornali. Negli Stati Uniti, sebbene i fumetti siano a carattere comico (per questo il nome “comics”) sono scritti soprattutto per gli adulti, come Bringing up Father di G. Mc Manus (in Italia si chiama Arcibaldo e Petronilla) o Little orphan Annie di H. Gray. In Europa invece sono rivolti in linea di massima a un pubblico di bambini.




Un anno storico per il fumetto sarà il 1930, anno in cui nasce in America Topolino (già cartone animato dal 1928 con Steamboat Willie, con Topolino e Gambadilegno all’opera per darsele di santa ragione) che durante gli Anni ’30 dilagherà in Europa. Arriva poi l’età d’oro dei comics americani con (in ordine sparso) Tarzan, Prince Valiant, Buck Rodgers, Dick Tracy, Mandrake, Flash Gordon, Betty Boop, Phantom, Superman, Batman, Captain Marvel, Capitan America e Wonder Woman


Un altro eroe tutto italiano che non teme l’usura del tempo è Tex Willer il cui primo albo esce in edicola il 30 settembre 1948. Gli autori sono Giovanni Luigi Bonelli (1908-2001) che scrive i testi e il disegnatore Aurelio Galleppini (Galep, 1917-1994). Tex è tuttora in edicola. Altro eroe italiano è il piccolo Capitan Miki che nasce dalla EsseGesse (Sinchetto, Guzzon, Sartoris) nel 1951. Della stessa “congrega” è anche Il Grande Blek, detto ” Blek Macigno “, (1954). A seguire, saranno gli eroi neri a prendere il sopravvento: nasce dalla penna delle sorelle Giussani Diabolik (1962) eroe negativo e malvagio ma di grande fascino. Lo seguiranno di poco Kriminal e Satanik nati dopo il successo di Diabolik. Entrambi sono firmati da Max Bunker e dal disegnatore Magnus. 

Ma l’“età adulta” del fumetto italiano arriverà negli Anni ’60 con la nascita del mitico Linus, rivista fondata da Giovanni Gandini che fece conoscere in Italia i Peanuts di Schulz e il nostro fumetto d’autore. La Valentina di Guido Crepax nasce proprio qui, e di seguito si aprono le strade per gli altri grandi autori italiani: Bonvi, Breccia, Jacovitti, Manara, Pazienza, Pratt, Serpieri, Ugolini solo per citarne alcuni.






E non finisce qua...
Vieni a trovarci



mercoledì 1 febbraio 2017

APPUNTAMENTO CULINARIO


Da lunedì 13 febbraio
parte la nuova rassegna

I LUNEDI' DELL'ESPLORATORE

e per cominciare la nuova avventura
apriamo con una serata dedicata alla cucina


Grazie ad Anna e Renato
che ci delizieranno 
per tre lunedì, a cadenza mensile,
con dei risotti di alta qualità.

Le serate saranno arricchite
da alcune letture e curiosità legate a questo antico cereale.



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L'ABC del risotto

è un primo piatto tipico della cucina italiana,diffuso in tutta Italia,
 consumato sopratutto nelle regioni settentrionali,
la sua caratteristica principale è il mantenimento dell'amido
 che gelatinizzatosi a causa della cottura,
lega i chicchi tra loro in un composto di tipo cremoso.
Tra le varie qualità di riso,
 ne esistono alcune propriamente adatte alla preparazione
di questo primo piatto: 
Arborio, Baldo, Carnaroli, Maratelli, Sant'Andrea, Vialone Nano.



Una curiosità legata a Giuseppe Verdi

Il Maestro di Busseto, oltre che gran compositore e musicista, 
è stato anche un imprenditore agricolo,
e considerava con ragione
i piaceri della tavola quali opere d'arte,
come scrisse nel 1889, il suo amico Giuseppe Giacosa.

Nella sua villa di Sant'Agata,
fra i tanti piatti preparati da Verdi,
il risotto era consumato e apprezzato in ogni stagione:
una sua ricetta dettagliata per quattro persone
fu scritta da sua moglie Giuseppina, 
in una lettera indirizzata a
Camille Du Locle, l'impresario del teatro dell'Opera di Parigi,
che si era detto interessato a conoscerne gli ingredienti
in una precedente missiva.


Lo chef francese Henri Paul Pellaprat (1869-1954)
ideò in onore del grande Maestro
il risotto "Giuseppe Verdi"

http://www.academiabarilla.it/italian-food-academy/ricette-storiche/risotto-giuseppe-verdi.aspx




A presto